Fondazione Aila

 

                

HOME AILA NEWS PREMIO AILA EVENTI ISCRIVITI RASSEGNA STAMPA CONTATTI

ARCHIVIO ARTICOLI | La qualità della vita dei pazienti affetti da osteoporosi di Francesco Bove

___________________________________________________________________________

 

Per lungo tempo l’osteoporosi è stata considerata una patologia inevitabile, una condanna che accompagnava le persone nel periodo della vecchiaia al pari della progressiva perdita di efficienza e funzionalità dell’organismo.

Un evento quindi ineludibile, cui era impossibile porre rimedio. Solo negli ultimi tempi, faticosamente, sta mutando l’atteggiamento e la mentalità nei confronti dell’osteoporosi, che può essere sconfitta e contrastata senza dover necessariamente compromettere e abbassare lo standard di qualità della vita dell’anziano e della donna in menopausa.
Il “tarlo silenzioso”, come lo ha definito l’AILA, la Fondazione per la Lotta all’artrosi e all’osteoporosi che ho l’onore di presiedere, grazie all’intervento dei moderni mezzi diagnostici, ma soprattutto della ricerca farmacologica, può essere efficacemente combattuta e non deve, dunque rappresentare una condanna, anche se i dati devono indurre a una attenta riflessione.
Fra le malattie, infatti, che aggrediscono il sesso femminile, spicca l’osteoporosi, vero e proprio problema sociale che grava sui bilanci sanitari di tutti i Paesi industrializzati. E’, tra l’altro, la patologia che richiede più posti letto di qualunque altra malattia; i costi ospedalieri per osteoporosi in Europa ammontano a 3,5 miliardi di Euro l’anno e a oltre 2000 miliardi di lire in Italia, secondo uno studio della RGS.
Il “tarlo silenzioso” provoca una frattura ogni 20 secondi nei Paesi sviluppati. Negli USA si verificano annualmente circa 1,5 milioni di fratture da osteoporosi, in Italia – e l’Istat conferma che siamo il Paese più vecchio del mondo – la stima è di circa 200mila l’anno.
Sempre negli Stati Uniti, il 17 % delle donne di razza bianca dopo la menopausa presenta osteoporosi alla misura della densità ossea femorale, rispetto al 12% delle ispaniche e all’8 % di quelle di razza africana. Misurando più zone dello scheletro, 9,4 milioni di americane di razza bianca in post-menopausa evidenziano osteoporosi del femore, del rachide o dell’avambraccio. In Gran Bretagna le cinquantenni hanno una probabilità del 14 % di sviluppare una frattura del femore nel resto della loro vita, una del 13 % per l’avambraccio e dell’11 % alle vertebre.
In Italia si registra un’incidenza della patologia per una donna su tre in menopausa e una media dell’8 % circa nel sesso femminile, dato che arriva al 9,8 % in caso di donne sedentarie, secondo una recente indagine AILA/Unicab. Il nostro studio evidenzia, fra l’altro, come l’attività fisica, al contrario, sia determinante a far scendere drasticamente – al 2,4 % - il rischio di fragilità ossea per le signore “over 55” che si mantengono in forma anche semplicemente camminando a piedi o svolgendo le faccende domestiche.
La nemica delle ossa si rafforza, infatti, con l’impostazione di vita del mondo moderno: sedentarietà, rincorsa di modelli estetici irraggiungibili di magrezza, stili di vita frenetici, alimentazione squilibrata o povera di calcio e vitamine, abuso di alcool, stress; ma sul proliferare del tarlo silenzioso incidono anche fattori di tipo genetico, ormonale e soggettivi.
E poi un ruolo negativo è svolto anche dalla disinformazione o dal pregiudizio su poche, importanti azioni da intraprendere per la prevenzione e la terapia. La MOC, ad esempio, è un esame indolore e utilissimo per fotografare la situazione della struttura scheletrica, che però non è ancora diventato un test di routine per tutte le donne. Questo forse proprio perché l’osteoporosi è come un tarlo invisibile che intacca l’impalcatura che ci sostiene in posizione eretta e ci fa deambulare, e che si manifesta ormai solo quando i danni sono gravi.
Ma il corpo umano ha un campanello d’allarme, il dolore, subdolo, incessante, una sofferenza che è il primo disagio delle persone osteoporotiche, cui seguono i primi cedimenti e crolli della struttura sempre più traballante e scricchiolante: le vertebre che si schiacciano, determinando abbassamento di statura, incurvamento. Al di là dei problemi estetici, sopraggiungono problemi funzionali, come quelli respiratori, che vengono ad aggravare il quadro clinico.

Diversa è la condizione, e ben più seria, qualora il crollo vertebrale non sia graduale, ma acuto, a seguito di uno sforzo, come il sollevamento di un peso. La sintomatologia dolorosa è particolarmente forte e ribelle per lungo tempo alle comuni terapie antalgiche.
I disagi aumentano poi in maniera esponenziale quando per una caduta si verifica una frattura del polso o del femore, come si è visto, le sedi più colpite da osteoporosi.
In questi casi sono necessari periodi di immobilizzazione con gesso per il polso o interventi chirurgici sia per il polso che per l’anca. E dunque limitazioni dell’autonomia e autosufficienza del paziente, immobilità, diminuzione delle capacità funzionali, problemi per la famiglia.
In questo panorama la Fondazione AILA sta portando avanti il proprio impegno statutario di informazione e sensibilizzazione, rivolgendosi alle donne, agli anziani, ma anche ai giovani, perché sin dall’infanzia bisogna accantonare risorse per il patrimonio osseo. Tuttavia, la campagna di prevenzione e divulgazione deve, ovviamente, essere sostenuta e incoraggiata dalle Istituzioni e dagli Enti preposti, ma sempre con una consapevolezza e una speranza, forte e chiara: l’osteoporosi si può combattere e non è una condanna per tutti