OSTEOPOROSI
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OSTEOPOROSI | OSTEOPOROSI MALE SOCIALE
Malattia sociale del Prof . Francesco Bove
Presidente Fondazione AILA Onlus per la lotta contro l’artrosi e l’osteoporosi
Introduzione
Il Terzo Millennio si è aperto con interessanti prospettive per l’uomo: progressi tecnologici e scientifici che porteranno sicuramente ad un miglioramento della vita negli ambiti familiari, lavorativi e sociali, semplificando molte nostre attività un tempo più difficoltose e a volte irrealizzabili.
Non solo. La Scienza ci sta trasformando e un dato di fatto è certo: l’uomo vive di più. Ma come vivrà? Come vivremo? L’allungamento della vita è una realtà, dunque, una vera e propria conquista, se pensiamo che una persona su tre ha più di 65 anni e che la percentuale di ultraottuagenari è superiore al 10%. Ma ripeto: come vivranno? Come vivremo? Da pensionati pieni di acciacchi, malandati, bisognosi di cure costose, con l’esigenza di aiuto da parte della comunità e dei familiari, sempre più impegnati altrove per star dietro a una vita dai ritmi più stressanti?
Il Terzo millennio si è aperto con quest’interrogativo cui iniziano ad arrivare incoraggianti risposte.
L’uomo potrà conservare un aspetto giovanile, organi che assicurano prestazioni adeguate per continuare un’attività produttiva sia fisica che cerebrale e non cadere nella solitudine dell’anziano che si sente inutile. Ma tutto ciò sarà ed è condizionato da uno scheletro che deve mantenerci ben eretti e non piegati dagli anni che passano, e che ha il compito di difendersi da un nemico: l’osteoporosi.
Anziani. Percentuale crescente
Gli anziani sono una quota crescente della popolazione italiana.
Nei prossimi anni l’ammontare della popolazione diminuirà, ma non in maniera clamorosa. A partire però dal 2013 circa si assisterà a un declino inesorabile che nel 2039 porterà la popolazione italiana, al netto del fenomeno migratorio, dagli attuali 57 milioni di abitanti a 53,5 milioni nell’ipotesi più ottimistica e , nell’ipotesi più pessimistica, addirittura a soli 40 milioni.
Inoltre si verrà a creare un notevole squilibrio fra nascite e decessi: fra il 2034 e il 2039, per ogni 100 morti, i nati saranno 70 nell’ipotesi più ottimistica, e appena 19 nell’ipotesi più pessimistica.
In ogni caso la struttura demografica (composizione della popolazione per sesso e, soprattutto, per età) subirà una notevole variazione a partire dai prossimi 10 anni. Si assisterà a un forte e inevitabile invecchiamento che accentuerà, soprattutto per le classi di età più elevate, lo squilibrio fra i sessi: le donne vivono infatti più a lungo degli uomini, avendo un’aspettativa di vita media alla nascita di circa 82 anni, contro i 75 dei maschi.
L’età media del cittadino italiano che nel 1994 era pari a 39,8 anni, nel 2009 sarà compresa fra i 42,5 e i 44,7 anni, per passare nel 2039 a un valore fra i 46,2 e i 54,7 anni.
La popolazione utrasessantenne nel 2039 potrebbe costituire quasi la metà della popolazione italiana totale.
Le donne con più di 60 anni (le più soggette all’osteoporosi) saranno, sempre nel 2039, circa 10,7 milioni (fra il 20,5 % e il 26,4 % della popolazione italiana totale, e fra il 39 % e il 50,6 % della popolazione italiana femminile).
Aumenterà il numero delle famiglie, ma al contempo si ridurrà il numero medio dei componenti. Crescono le famiglie con un solo componente (spesso anziani soli) e sono sempre meno i figli per ogni coppia. Questo dato si rileva preoccupante soprattutto alla luce del fatto che oggi la famiglia è il maggiore, se non addirittura l’unico, punto di riferimento per un anziano in condizioni di salute tali da non poter permettere una vita autonoma.
L’ammontare della popolazione attiva – convenzionalmente fra i 20 e i 64 anni – dopo il 2020 si ridurrà fortemente. Si sbilancerà il rapporto tra popolazione attiva e pensionati: l’indice di dipendenza degli anziani (rapporto fra popolazione con più di 65 anni e popolazione attiva), pari a 26 nel 1994 potrà raggiungere il valore di 74,4.
I flussi di immigrazione dai Paesi in via di sviluppo, quand’anche fossero di elevata entità, non riuscirebbero a modificare sostanzialmente questa dinamica della popolazione italiana.
Osteoporosi – Conoscerla per combatterla
Ogni organo deve rispondere in maniera ottimale alle funzioni che è chiamato a svolgere. Non a caso il nostro scheletro ha acquisito una consistenza e un’organizzazione strutturale ottimale quando, milioni di anni fa , l’affollatissima acqua dei mari e stata abbandonata per nuove esperienze sulla crosta terrestre. I nostri antenati hanno avuto bisogno di una struttura che consentisse loro di sostenere il proprio corpo e di spostarsi sulla superficie terrestre in presenza di una gravità che altrimenti li avrebbe schiacciati, immobili come amebe, sulla battigia dei mari. Non è accaduto tutto da un giorno all’altro: sono trascorsi millenni perché il nostro scheletro fosse il più idoneo a consentire la stazione eretta, la marcia, la corsa, la caccia e, più tardi, nella società del benessere, a guidare l’automobile e a passare tante ore seduti davanti ad una scrivania.
Questo processo che ha trasformato le braccia robuste e la schiena curva dei nostri antenati contadini negli arti esili della nostra generazione, figlia di una società dell’immobilismo, coinvolge ciascuno di noi nel breve arco della nostra esistenza. Gli anni spensierati della partita a pallone, della vita all’aria aperta, delle notti sfrenate in discoteca, vanno via via scivolando nelle lunghe giornate trascorse chini sul lavoro da colletti bianchi e nelle noiose serate in poltrona davanti all’immancabile TV.
Abbiamo sempre meno bisogno di uno scheletro robusto, idoneo a tollerare carichi meccanici sostenuti: è lo stile di vita della società del benessere un gravissimo fattore di rischio per l’osteoporosi.
Cos’è l’osteoporosi
L’osteoporosi è una malattia cronica dello scheletro caratterizzata dalla riduzione della massa ossea e dall’alterazione della microarchitettura del tessuto osseo con conseguente fragilità e rischio di frattura.
Tuttora non esiste conformità di vedute sull’uso della terminologia in questo campo. Per alcuni il termine osteopenia indica una riduzione della massa ossea non associata ad altri sintomi, mentre si parla di osteoporosi quando la perdita di massa ossea è di tale entità da determinare il rischio di fratture. L’osteoporosi sarebbe quindi una complicanza dell’osteopenia.
La multifattorialità delle cause di questa patologia ne ha sempre reso piuttosto difficile la classificazione. Tuttavia esistono delle condizioni osteoporotiche ben caratterizzate dal punto di vista epidemiologico, biochimico ed eziologico che vengono definite “osteoporosi primitive”, in cui la perdita di massa ossea è l’evento fondamentale nel quadro clinico. Quando invece l’osteoporosi si manifesta in associazione, o in conseguenza diretta di una malattia principale, si parla di “osteoporosi secondaria”.
I fattori primari che condizionano l’insorgenza dell’osteoporosi e che sono alla base del criterio classificativo si possono ricondurre a quattro classi:
1. Fattori che determinano il picco di massa ossea;
2. Fattori che determinano la perdita della massa ossea con l’età;
3. Fattori che determinano la perdita della massa ossea in seguito alla menopausa;
4. Condizioni mediche o terapie farmacologiche che causano la perdita di massa ossea.
Questo inquadramento è pressoché universalmente accettato ed è molto utile sul piano clinico anche se concettualmente non del tutto esatto.
Come si manifesta l’osteoporosi
L’osteoporosi è relativamente priva di sintomi; la diagnosi non è quindi facile. Il sintomo che eventualmente si presenta più frequentemente è il dolore alle ossa. Esso si localizza più spesso alla colonna vertebrale ed è erroneamente interpretato come un evento legato esclusivamente all’età del paziente. Per tale motivo spesso vengono omessi accertamenti specifici o terapie che sarebbero in grado di arrestare la patologia.
Essendo il dolore alla colonna vertebrale il sintomo prevalente nell’osteoporosi, lo si deve ben distinguere da altri tipi di problemi localizzati nello stesso punto. Per esempio un dolore che si attenua con il movimento e che si irradia alle spalle e/o alle gambe ha più le caratteristiche di un quadro di artrosi. L’artrite invece si manifesta con un dolore acuto e si accompagna a una grossa limitazione funzionale.
Il dolore osteoporotico compare pian piano, raramente si irradia in altre sedi, aumenta con il tempo e con gli sforzi fisici. Spesso si manifesta sollevando un peso o raccogliendo un oggetto da terra. E’ un dolore cupo, continuo che si riduce solo con il riposo. Non di rado si possono verificare microfratture o fratture vere e proprie a livello delle ultime vertebre toraciche o delle prime lombari.
Il dolore osteoporotico può presentarsi in vari quadri clinici ed è per questo che è necessario distinguere la forma generalizzata, post-menopausale o senile, da quella distrettuale, permanente o temporanea.
Nell’osteoporosi generalizzata tutte le ossa sono interessate dalla demineralizzazione. Se questo processo non viene diagnosticato e ancor più se non viene arrestato, esso va avanti inesorabilmente fino all’indebolimento, talora irreversibile, della struttura scheletrica. Se si indebolisce l’osso corticale è probabile la frattura delle ossa lunghe.
Al contrario la demineralizzazione della componente trabecolare comporta l’indebolimento delle ossa piccole, come le vertebre. L’osso trabecolare è il primo ad essere colpito da questo processo, ma è altrettanto vero che può essere il primo a recuperare grazie a una terapia specifica e tempestiva.
Nella categoria dell’osteoporosi generalizzata rientra sia quella “post-menopausale” o “involutiva”, sia la forma senile, più tipica del sesso maschile, che si manifesta oltre i settant’anni. Negli anziani di entrambi i sessi il modesto, ma continuo schiacciamento delle vertebre, a cui solitamente si aggiunge l’accentuazione della curvatura dell’intera colonna, ha come conseguenza una riduzione spesso marcata della statura e una riduzione di volume del torace e della cavità addominale.
Alla minore ampiezza toracica, cui si associano le modificazioni di forma della colonna, consegue la compromissione della capacità respiratoria. Allo stesso modo la diminuzione di volume della cavità addominale ha come conseguenza la protrusione dell’addome, con possibili ernie inguinali nell’uomo, e prolasso genitale nella donna, in seguito alla pressione esercitata sul pavimento pelvico.
L’osteoporosi distrettuale è invece sovente legata a situazioni di disuso e di immobilizzazione, quali la ridotta mobilità per malattie come l’artrosi, la paralisi, le artriti, ovvero in seguito al trattamento per fratture agli arti o all’obbligo di degenza a letto. Solo la riabilitazione potrebbe migliorare il quadro clinico, sempre che la degenza non abbia alterato, per un eccessivo riassorbimento, la struttura della matrice ossea.
E’ un nesso clinico ormai noto quello che collega la maggiore incidenza di fratture con l’aumentata fragilità ossea nelle persone anziane. Il fatto che con l’età la massa ossea diminuisca è facilmente documentabile con appositi esami strumentali, ma il vero punto critico è quello di definire la soglia del rischio di frattura. Tale limite è solo teorico, calcolato in funzione della massa ossea del paziente; esso indica il pericolo effettivo di andare incontro a una frattura in seguito a traumi a esercizi fisici modesti o addirittura in seguito a banali movimenti abituali.
Per chi ha più di 50 anni, il distretto scheletrico più a rischio di fratture è sicuramente la colonna vertebrale. Per tale motivo chi abbia una documentata riduzione di densità ossea deve evitare tutti i traumi e gli sforzi fisici che possano coinvolgere questo distretto. Lo stesso peso corporeo, o il peso addizionato a un trauma può determinare un consistente schiacciamento di uno o più corpi vertebrali. E’ per tali motivo che si preferisce esaminare la densità ossea a livello dei corpi vertebrali soprattutto nelle pazienti vicine alla menopausa.
Naturalmente il rischio di frattura si presenta altrettanto grave e frequente, e ancor più invalidante, a carico del collo del femore.
Si intuisce quindi che, con l’avanzare dell’età, la resistenza dell’osso tende a ridursi per l’aumento del processo di riassorbimento, cui consegue l’abbassamento della soglia del rischio di frattura. E’ quindi importante non solo valutare attentamente le condizioni del sistema scheletrico, ma anche istruire il paziente a prestare particolare attenzione al tipo di lavoro che svolge, all’attività fisica, all’alimentazione e al controllo del peso corporeo. Il problema dei traumi è legato nella quasi totalità dei casi alle cadute accidentali, che più spesso sono la conseguenza di una maggiore debolezza muscolare e di una rallentata prontezza dei riflessi tipica della vecchiaia.
Quali sono le cause
Con l’avanzare dell’età è chiaro che tutti siamo predisposti alla perdita di massa ossea, altrettanto vero però è che il soggetto in possesso di uno o più fattori di rischio avrà maggiori probabilità di andare incontro più precocemente alle conseguenze spiacevoli dell’osteoporosi.
Possiamo dire che l’osteoporosi è donna. Appartenere al sesso femminile è sicuramente il primo fattore di rischio, per il particolare ruolo degli ormoni femminili nel gestire il metabolismo dell’osso.
Sono ormai innumerevoli le testimonianze scientifiche della presenza di recettori specifici per gli estrogeni sugli osteoblasti.
E’ la dimostrazione dell’azione diretta di questi ormoni sulle cellule responsabili del processo di neoformazione ossea.
E’ stata inoltre provata anche un’azione indiretta degli estrogeni, che sono in grado di indurre la sintesi di fattori di accrescimento con specifica attività sulla crescita ossea.
E’ facile dedurre che tutte le situazioni che possano determinare un deficit di estrogeni sono in grado di favorire la perdita di massa ossea. La menopausa è la situazione più tipica.
In media a 48,5 anni l’attività funzionale delle ovaie cessa quasi definitivamente, determinando una riduzione marcata più o meno repentina della produzione di estrogeni. La donna può andare incontro a patologie talora severe, come per l’appunto l’osteoporosi. Con l’inizio della menopausa non solo vengono ad alterarsi i meccanismi di regolazione locale del turnover osseo, ma si modificano alcuni parametri metabolici fondamentali per l’insorgenza dell’osteoporosi, quali l’alterazione dell’assorbimento intestinale di calcio alimentare, la riduzione della produzione della forma attiva della vitamina D da parte del rene e relativo incremento dell’attività degli osteoclasti. Fortunatamente non tutte le donne che vanno in menopausa sono ugualmente esposte al rischio di osteoporosi.
Oltre al principale fattore di rischio dell’ipoestrogenismo (carenza di estrogeni), si possono associare altri elementi predisponenti, dalla familiarità alle cattive abitudini di vita, innanzitutto il fumo di sigaretta. Il fumo, specialmente nelle donne magre, anticipa di uno o due anni l’insorgenza della menopausa e aumenta il rischio di osteoporosi.
Il secondo fattore di rischio è la vita sedentaria, che predispone sia all’incidenza di fratture che alle malattie cardiovascolari. Una regolare e moderata attività fisica non solo fa bene al nostro scheletro, ma a tutto l’organismo. Aumenta la forza muscolare, la coordinazione, la flessibilità, sicuramente migliora i riflessi, inducendo in tal modo una certa sicurezza nel camminare, riducendo anche i rischi di caduta. Per fare tutto questo non è necessario iscriversi in palestra o praticare uno sport specifico: è sufficiente camminare, magari a ritmo vivace e sostenuto, per circa 20 minuti almeno 3 volte a settimana.
Circa 15 donne in menopausa su 100 riferiscono l’assunzione quotidiana di alcoolici, in genere 1 o 2 bicchieri di vino. Solo il 2% riferisce un uso smodato o l’abitudine a bere superalcoolici. L’abuso cronico di alcool è associato ad una riduzione della massa ossea e ad una maggiore incidenza di fratture mentre un consumo moderato non ha alcun effetto dannoso.
Molte donne evitano di bere latte per non assumere grassi o per problemi di intolleranza. Per una maggiore assunzione di calcio si può ricorrere al latte completamente scremato, contenente la stessa quantità di calcio presente in quello intero.
E’ vero anche che molto spesso la quantità di calcio assunta con la dieta non è sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero di una donna in menopausa ed è per questo che talora si rende necessaria l’integrazione con preparati a base di calcio.
La diagnosi
Grazie ai formidabili progressi tecnologici, l’approccio diagnostico all’osteoporosi e alle altre patologie caratterizzate da una ridotta massa ossea è radicalmente cambiato. Ora è possibile determinare la densità minerale del tessuto osseo di diversi distretti critici (colonna vertebrale, collo del femore, avambraccio, calcagno) o dell’intero scheletro con grande affidabilità sia per accuratezza che per riproducibilità dei dati.
Per lungo tempo, la difficoltà di quantificare con mezzi clinici o strumentali la massa minerale dello scheletro non solo ha reso problematica la diagnosi precoce dell’osteoporosi e la corretta valutazione degli effetti del trattamento, ma ha anche ostacolato il progresso delle conoscenze sulla dinamica evolutiva o involutiva dello scheletro nelle diverse fasi della vita e, in particolare, per le donne dopo la menopausa.
L’osteoporosi si manifesta clinicamente solo quando la fragilità scheletrica ha raggiunto un grado notevole. Generalmente ciò avviene dopo molti anni di squilibrio metabolico osseo, pressoché asintomatici, mentre la massa ossea si riduce progressivamente a livelli di osteopenia patologica. E’ quindi evidente l’importanza di disporre di metodiche affidabili per quantificare la massa ossea.
L’era delle metodiche densitometriche quantitative propriamente dette fu aperta negli anni ’60 dai primi strumenti per mineralometria a singolo raggio fotonico. La MOC a singolo raggio fotonico ha conosciuto un’ampia diffusione ed è tuttora largamente impiegata con buoni risultati. Il basso costo degli impianti e la brevità dell’esame consentono infatti di operare a costi contenuti su un ampio numero di soggetti. Se si cura il corretto posizionamento dell’arto, si può ottenere un’ottima riproducibilità dei dati nei successivi controlli sullo stesso individuo. Per motivi tecnici la MOC a singolo raggio è applicabile solo all’avambraccio o ad altre ossa dello scheletro periferico. In pratica, con questi strumenti restano esclusi alcuni distretti di elevato interesse clinico, come i corpi vertebrali e il collo del femore, sedi tipiche di alcune delle più frequenti ed invalidanti fratture da osteoporosi.
Tali limiti sono stati sostanzialmente risolti dalla MOC a raggi X (DXA), la più avanzata evoluzione dei metodi densitometrici diretti e permette di studiare il contenuto minerale e la densità dello scheletro intero. Tale metodica offre un’accuratezza e una precisione nettamente migliori, insieme a tempi di esecuzione molto veloci e dosi trascurabili di radiazioni al paziente.
L’applicazione più frequente della MOC a raggi X è nella misurazione della massa ossea nella colonna lombare. Questa sede è stata scelta in quanto libera da sovrapposizione di altre strutture scheletriche e perché riflette le condizioni anche della porzione dorsale. L’osso vertebrale contiene un’elevata percentuale di osso trabecolare e pertanto manifesta più rapidamente di altre sedi le variazioni indotte dalla menopausa e dalla terapia. Inoltre, grazie all’ottima definizione dell’immagine ottenuta, è possibile individuare correttamente gli spazi intervertebrali anche in casi di grave osteoporosi con cedimenti vertebrali.
La porzione del collo del femore è sede delle fratture osteoporotiche più temibili. Per questo è spesso indispensabile conoscere direttamente in questa sede la densità minerale ossea, specie nei soggetti che per età più avanzata sono maggiormente a rischio per questo tipo di frattura.
Anche per questa sede scheletrica la DXA ha reso più agevole, accurata e riproducibile la misurazione della massa ossea. Poiché l’incidenza delle fratture del femore cresce dopo i 65 anni, nelle persone anziane la parte superiore del femore costituisce probabilmente il punto più interessante per la misurazione della massa ossea.
La maggioranza dei mineralometri ossei a raggi X permette anche la scansione “total body”, che fornisce la misurazione del contenuto minerale e della densità ossea dell’intero scheletro. Con quest’esame si può indagare lo stato dei diversi distretti scheletrici, che possono essere interessati in modo differente dalle situazioni fisiologiche e patologiche, o rispondere in modo variabile ai farmaci. L’esame fornisce simultaneamente i valori densitometrici dei principali distretti scheletrici, e si rivela molto utile quando si sospetti un interessamento metabolico differenziato in punti diversi. E’ contemporaneamente possibile ottenere anche la composizione corporea dei tessuti molli, cioè quantificare al grammo le masse magre e le masse grasse.
Anche una particolare applicazione della Tomografia Assiale Computerizzata, detta TAC quantitativa ossea (QCT), viene impiegata per misurare la densità ossea vertebrale. Essa qualifica la porzione centrale del corpo vertebrale, composta esclusivamente da tessuto osseo trabecolare. Il reale vantaggio di una misura puramente trabecolare non è però ancora ben definito, in quanto anche il rivestimento del corpo vertebrale svolge un ruolo meccanico di sostegno. Le limitazioni principali di questa metodica derivano comunque dall’esposizione del paziente ai raggi X decisamente più elevata, che ne rende difficile l’impiego per controlli periodici nel tempo.
Nella pratica clinica, la misurazione non invasiva della massa minerale ossea fornisce un contributo diagnostico fondamentale nel riconoscimento dell’osteopenia. Ma oltre al riconoscimento della riduzione di densità in atto, la precisione della MOC a raggio X si presta molto bene al riconoscimento dei soggetti a rischio che presentano una perdita di massa ossea particolarmente veloce. Questo approccio consente, ad esempio, di seguire con vari rilievi nel tempo l’evoluzione della densità vertebrale nei primi anni di menopausa, quando il patrimonio scheletrico non è stato ancora compromesso in modo pericoloso, e decidere quindi l’opportunità di un trattamento preventivo.
Altrettanto interessante è la possibilità di verificare in tempi ragionevoli, 6-12 mesi, l’effetto sull’osso delle terapie svolte. Ciò vale sia per la malattia in atto, sia nella prevenzione.
La diagnosi precoce dell’osteoporosi post-menopausale può avvalersi utilmente anche di misurazioni a intervalli di 1-2 anni. Grazie all’elevata precisione della misura è finalmente possibile individuare in modo affidabile le donne che hanno una perdita ossea accelerata.
Anche un’altra metodica, quella a ultrasuoni, permette di ottenere informazioni importanti per inquadrare correttamente dal punto di vista diagnostico l’osteoporosi post-menopausale. La scelta del sito scheletrico da esaminare è stato uno dei problemi da affrontare. Il calcagno è uno dei siti scheletrici più utilizzati; esso è costituito per il 95% da tessuto trabecolare e quindi dovrebbe indicare più precocemente delle vertebre un iniziale processo di demineralizzazione e/o di alterazione della struttura ossea. La misurazione del calcagno sembra essere la preferita perchè molto simile alla colonna vertebrale, inoltre perché anche il calcagno è un sito sottoposto a carico. Nelle donne l’andamento della mineralizzazione del calcagno è sovrapponibile a quella delle vertebre in rapporto sia con l’età che con la condizione climaterica. Il tallone, quindi, può essere considerato un sensibile indicatore delle malattie metaboliche dell’osso oltre che dell’osteoporosi.
I vantaggi offerti da questa tecnica sono numerosi: quelli comuni a tutte le misurazioni ultra soniche (economicità, rapidità di esecuzione, assenza di radiazioni ionizzanti, trasportabilità dell’apparecchio per screening di massa), inoltre vi è la possibilità di costruire specifiche curve di riferimento. E’ stata riscontrata un’elevata correlazione tra i parametri ottenuti con la valutazione a ultrasuoni del calcagno e la densità minerale della stessa zona scheletrica, della colonna lombare e del collo del femore misurate con la DXA.
In questa sede merita di essere menzionata anche la radiografia tradizionale come tecnica di valutazione della densità ossea. La radiografia permette di riconoscere alcune patologie dello scheletro, ma è da ritenere metodica di secondo livello per la diagnosi dell’osteoporosi post-menopausale, perché tale strumento non è in grado di cogliere precocemente le variazioni di densità ossea e di discriminare le donne a rischio di frattura. La valutazione è affidata alla sensibilità e interpretazione individuale dello specialista e alla qualità dell’esame.Sebbene le applicazioni cliniche delle misure strumentali di massa ossea siano ancora oggetto di ricerca e di discussione, non vi è dubbio che la disponibilità di queste metodiche abbia ormai cambiato radicalmente l’approccio diagnostico verso l’osteoporosi, specie per quanto riguarda il riconoscimento precoce della malattia.
Epidemiologia
L’osteoporosi è una malattia debilitante simile ad altre patologie croniche in termini di invalidità, mortalità e costi sociali.
Si calcola che, nel mondo, circa 200 milioni di persone siano affette da osteoporosi e che ogni anno si verificano più di 2,3 milioni di fratture da osteoporosi in Europa e USA.
Nell’Unione Europea, ogni 30 secondi qualcuno ha una frattura causata da osteoporosi e 1 paziente su 5 muore per fratture vertebrali o femorali dovute a questa patologia.
Le fratture da osteoporosi sono più comuni dell’infarto del miocardio, dell’ictus e del cancro della mammella valutati globalmente.
In particolare nelle donne, maggiormente colpite dall’osteoporosi rispetto agli uomini, intorno ai 50 anni di età il rischio di frattura da osteoporosi è del 50%. Con l’avanzare dell’età si registra per il sesso femminile un aumento delle fratture vertebrali non traumatiche e femorali, fino a raggiungere 475 fratture su 1000 casi per le donne con più di 74 anni.
Le fratture da osteoporosi, sono causa di invalidità e mortalità.
I pazienti con fratture vertebrali lamentano più dolore, hanno maggiore disabilità e ricorrono più spesso alle strutture sanitarie rispetto ai soggetti senza fratture. Per le donne in età menopausale, è inoltre limitata l’attività ed aumenta il riposo a letto.
Per ciò che riguarda le fratture di femore da osteoporosi, ad un anno dall’evento fratturativo il 20% dei pazienti muore e inoltre:
· 40% non è in grado di camminare autonomamente
· 60% limitato in attività di classe 1 (mangiare, vestirsi, lavarsi)
· 80% limitato in attività di classe 2 (far la spesa, giardinaggio,salire/scendere le scale)
Cosa sanno gli italiani dell’osteoporosi
Un recente sondaggio dell’AILA, sul grado di conoscenza dell’osteoporosi da parte degli italiani, mette in evidenza la reale percezione del fenomeno e i livelli di attenzione che suscita tra la popolazione adulta.
Ciò consente, in termini più operativi, di individuare gli spazi di intervento per un’azione di comunicazione, di sensibilizzazione e soprattutto di prevenzione.
Grado di conoscenza
Il primo livello di conoscenza, il più elementare (“Ha mai sentito parlare prima d’ora dell’osteoporosi?”) trova risposte interessanti. In media l’82% degli intervistati dichiara di aver quanto meno sentito parlare dell’osteoporosi.
Questo dato tuttavia trova origine in riscontri alquanto diversificati a seconda che si tratti di donne o uomini, che si abbia un livello di cultura alto e medio-alto ovvero basso e medio-basso, che si risieda al Nord piuttosto che al Centro o al Sud d’Italia, che si viva in una città o in un comune più piccolo e periferico.
La conoscenza, a livello di “sentito dire”, se tra le donne è pari al 92% circa, tra gli uomini scende al 69%; tra chi ha un titolo di studio superiore si rileva un valore pari al 100%, tra chi non ha titolo di studio (soprattutto gli anziani) si scende al 45%; infine l’attenzione è pari al 91% tra i residenti nei centri abitati più grandi e si attesta intorno al 75% tra i residenti dei comuni più piccoli.
Allorquando si passi ad un livello appena superiore di conoscenza dell’osteoporosi (“Sa dirmi di cosa si tratta?”), il valore rilevato al primo livello si riduce anche se non in misura particolarmente sensibile: la conoscenza passa dall’82% al 77% circa ma, attenzione, siamo sempre su livelli di conoscenza molto prossimi al “sentito dire” per una larga maggioranza degli intervistati: circa il 56% definisce l’osteoporosi come una malattia delle ossa e non è in grado di indicare alcuna ulteriore specifica.
Dai dati si desume che all’incirca solo un quarto degli intervistati mostra una conoscenza più propria e definisce l’osteoporosi come:
· Una malattia delle ossa causata dalla carenza di calcio;
· Una malattia delle ossa che determina fratture;
· Una malattia delle donne in menopausa.
Anche in quest’ambito si rileva che l’ignoranza è più diffusa tra gli anziani e tra coloro che hanno un livello culturale molto basso.
La carenza cognitiva si concentra dunque proprio in quella fascia di popolazione più a rischio (oltre i 62 anni) che risiede al Sud o nelle isole e nei piccoli comuni.
Un dato significativo, emerso sulla base di questi criteri di conoscenza sommaria, è che l’osteoporosi è percepita soprattutto come una patologia tipicamente femminile. Per l’84% degli intervistati colpisce quasi esclusivamente le donne, per il 16% soprattutto gli uomini.
Al terzo livello (“Sa indicare come si manifesta l’osteoporosi? – “Sa indicare qual è la causa principale dell’osteoporosi?”), la conoscenza subisce un’ulteriore e più significativa caduta: oltre il 40% non è in grado di indicare né sintomi né tanto meno le cause.
Il grado di conoscenza pur non risultando particolarmente negativo – è infatti presente un accettabile livello di attenzione – lascia ampi margini di intervento: se si pensa che lo spostamento di un solo punto percentuale dei valori indicati rappresenta il mutamento di atteggiamento/comportamento di circa 225.000 soggetti, avremo ben chiara la portata dell’intervento informativo e formativo necessario per l’avvio di un’azione di prevenzione.
Casi di osteoporosi in famiglia
La diffusione dell’osteoporosi ci ha interessato non tanto per stabilire quali siano gli italiani colpiti (non è questo il tipo di indagine per rilevarlo), quanto per capire in che misura la diffusione o l’esperienza diretta influenzino la conoscenza.
Il risultato ottenuto è il seguente: 21 intervistati su 100 hanno indicato casi di osteoporosi in famiglia. La diagnosi è stata fatta, nella maggioranza dei casi, dal medico di famiglia o dallo specialista in ortopedia; marginale appare il ricorso ad altri specialisti quali il radiologo, il ginecologo e l’endocrinologo.
In un certo numero di casi (circa il 5%) l’osteoporosi dichiarata non è stata diagnosticata da alcun medico e non è stata curata con alcuna terapia.
Questo appare come un indicatore concreto di ignoranza riguardo alla portata e alle conseguenza del male: sembra quasi lo si subisca passivamente.
L’approccio alla patologia
L’indagine ha voluto altresì verificare i livelli di conoscenza riguardo la prevenzione dell’osteoporosi. Anche in questo ambito l’ignoranza appare diffusa e consistente:
Il 35% degli intervistati non è in grado di indicare quali siano gli alimenti più adatti a prevenire e contrastare l’osteoporosi. Quando indicati, ci si concentra pressoché esclusivamente su latte e formaggi;
Il 19% è convinto che l’attività fisica non aiuti a prevenire la malattia. L’attività fisica più spesso indicata è “lunghe passeggiate” o una generica “ginnastica” cui solo il 10% dedica alcune ore settimanali;
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Il 68% non è in grado di indicare nessun esame clinico che consenta di diagnosticare l’osteoporosi (la MOC è citata spontaneamente solo dal 12% e questo valore sale al 19% dopo esplicita sollecitazione).
Le donne e l’osteoporosi
Abbiamo sinora messo in evidenza gli aspetti più eclatanti su cui si fonda la conoscenza degli italiani riguardo all’osteoporosi. Approfondendo l’analisi e facendo riferimento esclusivamente al portato conoscitivo femminile, il quadro di riferimento tende a mutare e ad apparire appena più confortante.
Le donne italiane di età superiore ai 45 anni, la popolazione più spesso direttamente coinvolta dall’osteoporosi, risultano in genere più informate e più attente anche se ancora poco propense a una reale prevenzione della patologia:
In effetti:
- Il 92% ha una conoscenza di primo livello (contro l’82% del totale della popolazione);
- L’85% ha una conoscenza di secondo livello (contro il 77% del totale della popolazione);
- Il 58% ha una conoscenza di terzo livello (contro il 48% del totale della popolazione);
- Il 28% è in grado di indicare gli esami diagnostici necessari a individuare l’osteoporosi (contro il 20% circa del totale della popolazione).
Ma solo 45 donne su 100 si sono sottoposte a visita ginecologica di controllo negli ultimi due anni. Questo valore varia tra un massimo del 65%, riscontrato tra le donne di età compresa tra i 45 e i 54 anni, l’età della menopausa, e un minimo del 30% riscontrato tra le donne di età superiore a 65 anni, età in cui si rileva più diffusamente un’osteoporosi acuta.
In effetti poco più del 45% si ritiene informato in modo soddisfacente sulle conseguenze della menopausa; il dato varia sensibilmente in virtù dell’età: si passa dal 50% rilevato in corrispondenza delle cinquantenni, al 38% delle ultrasessantacinquenni.
Considerazioni finali
Il quadro informativo che si ricava dall’analisi dei risultati dell’indagine demoscopica risulta variegato e consente di individuare, con sufficiente chiarezza, quali debbano o possano essere le linee di una strategia di comunicazione e soprattutto di informazione.
Gli italiani, in genere, di fronte al termine “osteoporosi” sanno di cosa si sta parlando, e questo è già un buon risultato. Ma questa conoscenza è ancora, troppo spesso, superficiale e non supportata da elementi concreti. Se, ad esempio, correliamo questa constatazione con la probabilità di diffusione dell’osteoporosi tra le persone di oltre 55 anni di età e con le conseguenze particolarmente negative del male ci accorgiamo che si fa ancora troppo poco per prevenirlo e contrastarlo.
Un dato su tutti appare allarmante: tra le donne ultrasessantacinquenni solo una ogni tre è andata al controllo medico-ginecologico negli ultimi due anni.
Volendo passare poi da un’analisi “diagnostica” del grado di conoscenza e del comportamento per la prevenzione dell’osteoporosi a una “terapia di intervento”, riteniamo improcrastinabile l’avvio di una campagna di sensibilizzazione – informativa e formativa – che coinvolga non solo la popolazione italiana, ma anche le forze politiche e, soprattutto, i medici di base.
A nostro avviso occorre dunque:
Spiegare cos’è l’osteoporosi;
Fare in modo che la conoscenza riguardi soprattutto le fasi critiche della vita del paziente;
Far comprendere che, a prescindere dal momento in cui appaiono sintomi eclatanti, essendo l’osteoporosi come un tarlo silenzioso, è necessaria la prevenzione;
-
Contrastare l’osteoporosi intervenendo soprattutto sugli stili di vita (regimi alimentari, attività fisica…);
Osteoporosi e stili di vita
“Il movimento è salute”, questo è lo slogan della Fondazione AILA.
La ginnastica in generale e la fisioterapia in particolare, oltre a migliorare la densità dell’osso dopo la menopausa, potenziano anche il senso di equilibrio e i riflessi motori. Una costante attività fisica è necessaria per prevenire l’osteoporosi.
Tra gli stili di vita da adottare per la prevenzione dell’osteoporosi c’è sicuramente una corretta alimentazione. Infatti, coloro che assumono maggior quantità di calcio, attraverso il consumo del latte, dei formaggi e dello yogurt, in assenza di altri fattori negativi, hanno una migliore qualità ossea.
Altro elemento importante per la prevenzione di questa patologia è l’esposizione al sole. Specie alla nostra latitudine, l’esposizione ai raggi solari aumenta, nel nostro organismo, la produzione di vitamina D, elemento importante per l’assorbimento del calcio nelle ossa.
Un altro fattore di rischio è il fumo. Sicuramente chi non ha mai fumato rischia meno. A questo proposito i dati scientifici internazionali riconoscono una perdita ossea del 2% ogni dieci anni al solo eccesso di fumo.
Conclusione
Se molte malattie agiscono in maniera eclatante, patologie fortemente invalidanti come l’osteoporosi sono molto più subdole e inizialmente prive di sintomi, tanto da potersi considerare un’epidemia silenziosa. Pur essendo una malattia cronica e sociale dichiarata, stando anche ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ancora troppo spesso viene sottovalutata e trascurata finché, talvolta, è ormai tardi: ed ecco le fratture, i dolori, il processo di incurvamento implacabile e irreversibile. E la paura di muoversi, addirittura di camminare: impossibile svolgere una vita normale.
Se il progresso tecnologico e le macchine contribuiscono da una lato a facilitare l’esistenza e a renderla più comoda, dall’altro ci si muove sempre meno, limitando al minimo l’attività fisica, fondamentale per restare a lungo attivi e autosufficienti. Il più grande pericolo per l’uomo del Terzo Millennio è forse proprio quello di restare immobilizzato, anche a causa dell’osteoporosi. Perché allora non è stata finora tenuta in sufficiente considerazione ? Forse perché, erroneamente, si pensa che i disturbi provocati da questa malattia siano in qualche modo naturali, fisiologici, legati al processo di invecchiamento. Un concetto ormai obsoleto e non più compatibile con le esigenze di dinamismo della nostra società.
Sono tra i 3,7 e i 5 milioni, nel nostro Paese, le persone che soffrono di osteoporosi, la metà di loro presenta un quadro clinico determinato soprattutto da dolori. Ma in proposito c’è ancora un buco legislativo e tale patologia non è ancora considerata di interesse sociale, ovvero, i farmaci per curarla non sono ancora inseriti nella cosiddetta “fascia A”, tranne alcuni casi in cui ormai il danno è certo.
Nei Paesi industrializzati una donna su tre con l’insorgere del climaterio e quindi della fine della produzione degli estrogeni, soffre di osteoporosi, il “tarlo silenzioso” che intacca l’intelaiatura delle ossa fino a sgretolarle.
Ormai sembra che non ci siano più dubbi, in una previsione che riguarda i prossimi cinquant’anni, l’incremento dell’età media della popolazione aumenterà di più del doppio il numero delle fratture da osteoporosi e i relativi costi sociali.
La Comunità Europea nel 2005 si è impegnata per la diffusione dei sei punti fondamentali del documento di azione comune per la prevenzione dell’osteoporosi firmato nel 2002.
I punti sono i seguenti:
1.
Campagne di sensibilizzazione e divulgazione del problema osteoporosi affinché si possano identificare facilmente i soggetti a rischio di frattura.
2.
Gli stili di vita idonei per la prevenzione dell’osteoporosi: una dieta ricca di calcio e vitamina D, esercizio fisico regolare e evitare l’abuso di fumo e alcool.
3.
Linee guida per il trattamento dell’osteoporosi e delle fratture ad essa collegate.
4.
La gestione delle fratture, della riabilitazione e della prevenzione delle cadute.
5.
L’aspetto economico. Le fratture da osteoporosi comportano una spesa enorme anche in termini di posti letto negli ospedali pubblici.
6.
Istituzione di una banca dati europea per la rilevazione delle fratture per poter avere un quadro epidemiologico globale nell’ambito degli studi per la prevenzione.
Orbene si tratta di un impegno importante che ci vede concordi con gli impegni assunti. Finalmente uno spiraglio di luce per la lotta all’osteoporosi. Ben venga avanti tutta!
Semplicemente ora vorremmo che si dia corpo alle parole. Passiamo ai fatti e facciamo in modo che questo importante documento non finisca nell’archivio della “politica degli annunci”.
I ghiacciai dei poli sciogliendosi sommergeranno la terra, se non interverranno in questo millennio soluzioni che possano arginare questa terribile previsione. Anche il nostro scheletro si sgretolerà, sotto il peso degli anni che aumentano, se non interverranno seri programmi di prevenzione?
E’ tempo di muoversi!
Sono necessarie campagne di informazione per la sensibilizzazione e la divulgazione del problema osteoporosi affinché si possano identificare facilmente i soggetti a rischio di frattura e attuare le giuste prevenzioni.
Nonostante l’Unione Europea abbia assunto un ruolo di coordinatrice con l’Istituzione di Commissioni di Esperti, ancora poco è stato fatto. Per evitare e arginare i danni del “tarlo” delle ossa, l’AILA auspica una maggiore diffusione della cultura della prevenzione attraverso i medici di base per un adeguamento degli stili di vita e per un corretto uso dei farmaci.
Ora le Istituzioni devono fare il salto di qualità per il riconoscimento sociale e per una reale campagna di prevenzione di una patologia invalidante che coinvolge una donna su tre dopo i 60 anni e due terzi delle ottantenni.
Fondazione AILA Onlus per la lotta contro l’artrosi e l’osteoporosi
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E-mail: info@ailafondazione.it
Bibliografia
ONU – UNFPA United Nations Population Fund “Lo stato della popolazione mondiale” – New York 1996.
BOVE F. e altri – Osteoporosi: il tarlo silenzioso. Fattori di rischio nella società del Duemila. Ed. Cangemi 1998.
Fondazione AILA – UNICAB Italia - Indagine epidemiologica, 2001.
Fondazione AILA – UNICAB Italia – Indagine conoscitiva sull’artrosi e sull’osteoporosi, 2003.
Scott E. Porter, MD, e Edward N. Hanley, Jr, MD – Effetti del fumo sull’apparato muscolo scheletrico. Journal of American Academy of Orthopaedic Surgeons – 2001.
Juliet Compston – Prevention of Osteoporosis Fracture in the European Community; Strategies for Prevention – Advances in Osteoporotic Fracture Management – 2004.
Nicholas Harvey and Cyrus Cooper – Epidemiology of Vertebral Fractures - Advances in Osteoporotic Fracture Management – 2004.
Kimberly Templeton, MD – Secondary Osteoporosis - Journal of American Academy of Orthopaedic Surgeons – 2005.